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Tappa IX

7 agosto 2007

El Ganso – Molinaseca (32 km)

 

 

Vera odissea.

Non tanto per l’ascesa che non ci ha preoccupati, ed in generale è la pendenza preferita, quanto per la discesa che metta a dura prova le nostre caviglie.

Si parte alle 5:30. Buio e freddo.

Con l’aumentare dell’altezza, arriveremo ai 1500 mt, aumentano freddo, nuvole e nebbia. Arriviamo in vetta intirizziti: le colazioni offerte non ci garbano e, quindi, proseguiamo.

In compenso, veniamo ripagati dalla Cruz de Hierro: una croce posta su di un piccolo cucuzzolo dove i pellegrini lasciano qualcosa di sé, fanno voti, chiedono intercessioni, ringraziano.

E’ un momento toccante del Cammino.

La discesa la iniziamo sulla strada asfaltata. I dolori sono contenuti.

Arriviamo in un improvvisato rifugio gestito da alcuni pulciosi alternativi che offrono latte, caffè e biscotti: ovviamente, è gradito l’obolo. Ci fermiamo, sarà il nostro pasto fino a El Acebo.

Continuiamo a scendere, molto lentamente, imbocchiamo il sentiero e via, verso El Acebo.

La sofferenza è direttamente proporzionale alle asperità del tracciato: fondo sconnesso con ripide variazioni di pendenza.

Alla fine, in silenzio per molti km, ognuno immerso nei propri pensieri e dolori, arriviamo a Molinaseca: nove ore abbondanti di tappa.

Il paese ha un centro affascinante, dal sapore medievale, scattiamo qualche foto, ma la priorità è trovare l’albergue. In animo c’è l’idea di ritornare nel pomeriggio inoltrato a fare visita.

Scopriremo che l’albergue è all’uscita del paese: non nascondo che i momenti che precedono il ritrovamento dell’albergue divengono, di giorno in giorno, sempre più tesi e nervosi.

Grazie alle indicazioni fornite, prima da un farmacista e poi da una cameriera di un bel ristorante (chissà cosa avrà pensato quando, prendendo l’ordinazione al tavolo da due persone distinte, s’è vista arrivare un pulcioso e sozzo pellegrino: “Non vorrà mangiare qui questo!?”), troviamo l’albergue: € 8,00 + € 8,00 di cena.

Data la lontananza della sistemazione dal centro cittadino, alla luce, soprattutto, della sofferenza della odierna tappa, sfuma l’idea di tornare in centro per meglio visitare la cittadina: peccato.

L’albergue? Il più bello sino ad oggi: nuovo, stanza al secondo piano con letti singoli, pasquette e travi a vista.

Nonostante il tappone, facciamo subito il bucato e la doccia, in allegria.

Io scrivo due righe e poi Morfeo mi abbraccia per almeno tre ore.

La cena, il momento più bello.

Tavolata multinazionale: alla mia destra Ale; a sinistra Michel, un signore belga; di fronte, una coppia di coniugi spagnoli cinquantenni, e di fianco a loro, Luis, un uomo di sessant’anni.

Chiacchiero con Michel per lungo tempo, cerchiamo di capirci e a quanto pare ci riusciamo: o meglio, vi è la voglia di capirsi.

La cena, ottima ed abbondante, complice la fame, prosegue allegramente fra scambi cordiali di mescita di vino.

Luis, scopriamo essere partito da un paese della Francia, anche lui è belga, ed è in giro da tre mesi: è possibile che lo abbiano dato per disperso.

Mostra la credenziale tappezzata di sellos. Luis è un uomo baffuto che, di fronte ad un primo rifiuto di Ale di un’altra aggiunta di vino, recita una massima del pellegrina: “Il vino fa camminare il pellegrino”.

Dinanzi a cotanta saggezza, Ale non può sottrarsi oltre alla caraffa.

In tarda serata sento il mio Tofu che da oggi termina di lavorare. Il 16 agosto ci incontreremo in quel di Fagagna dal Fede: non vedo l’ora.

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